Progettazione per competenze

 

Insegnare, programmare e valutare per competenze

di Antonio Maiorano, autore Mondadori Education

Il concetto di didattica per competenze comincia ad affermarsi intorno alla metà degli anni ’90, nei documenti dell’Unione Europea, come il Libro bianco sull’istruzione e formazione a cura di Edith Cresson, allora Commissario Europeo con delega alla scienza, ricerca ed educazione, in cui si legge: «In tutti i paesi d’Europa si cercano di identificare le “competenze chiave” e di trovare i mezzi migliori di acquisirle, certificarle e valutarle. Viene proposto di mettere in atto un processo europeo che permetta di confrontare e diffondere queste definizioni, questi metodi e queste pratiche».

L’idea di competenza deriva dall’ambito lavorativo, dove indica “il patrimonio complessivo di risorse di un individuo nel momento in cui affronta una prestazione lavorativa o il suo percorso professionale”.

Secondo questa idea viene effettuato, per esempio, nei Centri per l’impiego, il cosiddetto “bilancio delle competenze”, un colloquio, cioé, in base al quale si individuano le potenzialità dell’individuo, in termini di formazione, esperienze e attitudini, per trovargli una collocazione sul mercato del lavoro.

La dimensione della potenzialità e quella della natura integrata della competenza sono fondamentali, perché le ritroviamo anche nell’applicazione al mondo della scuola.

È intorno al 2000, nella temperie storica della Riforma Berlinguer, che inizia la discussione in Italia su cosa si debba intendere per competenza in un ambito formativo.

Rileggiamo due definizioni che risalgono appunto a quel periodo:

1. “Per competenza si intende, in un contesto dato, potenzialità o messa in atto di una prestazione che comporti l’impiego congiunto di atteggiamenti e di motivazioni, conoscenze, abilità e capacità e che sia finalizzata al raggiungimento di uno scopo”.

2. “Ciò che, in un contesto dato, si sa fare (abilità) sulla base di un sapere (conoscenze), per raggiungere l’obiettivo atteso e produrre conoscenza; è quindi la disposizione a scegliere, utilizzare e a padroneggiare le conoscenze, capacità e abilità idonee, in un contesto determinato, per impostare e/o risolvere un problema dato”.

Il quadro comincia a chiarirsi: la competenza, per esplicitarsi, ha bisogno di un contesto dato, non esiste se non “in situazione”,  non può darsi in astratto; è un mix di conoscenze, abilità e attitudini (atteggiamenti e motivazioni); ha a che fare con la risoluzione di un problema, con il raggiungimento di uno scopo.

Si comprende così chiaramente qual è l’elemento unificante tra il concetto di competenza in ambito lavorativo e quello in ambito formativo, naturalmente con le ovvie differenze che cercheremo di precisare.

Precisazioni terminologiche

Prima di andare avanti, è opportuno chiarire la terminologia usata (che ritroveremo anche nei documenti ufficiali), perché non sussistano equivoci.

I termini “conoscenze”, “abilità” e “attitudini” si ritrovano frequentemente sia nei documenti della Unione Europea che in quelli del MIUR, ma spesso nella scuola sono stati utilizzati con un significato non univoco: come bisogna quindi intenderli?

Il concetto di conoscenze sembra abbastanza chiaro: si tratta di «informazioni e/o procedure apprese attraverso il processo di insegnamento/apprendimento». Esse possono essere teoriche (dichiarative o know what) o pratiche (procedurali o know-how). Le prime riguardano gli oggetti della conoscenza (per esempio le coniugazioni verbali), le seconde procedure applicative (per esempio che cosa significa fare l’analisi grammaticale di una forma verbale: individuarne la coniugazione, il tempo, il modo e la persona).

Le abilità sono la capacità di applicare le conoscenze apprese per svolgere compiti o risolvere problemi (per esempio svolgere l’analisi grammaticale di una forma verbale, o inserirla correttamente in una frase). Esse possono essere cognitive (usare metodi e procedure, vedi l’esempio precedente relativo all’analisi grammaticale) o pratiche (usare strumenti e macchine; saper rintracciare nel dizionario il significato di un verbo risalendo dalla forma coniugata all’infinito).

Le attitudini, infine, secondo la terminologia europea condivisa, non devono essere intese nel senso comune di “inclinazione”, “predisposizione” (“Paolo mostra una spiccata attitudine per il disegno”), ma come gli atteggiamenti che si adottano sia a livello personale sia nei rapporti con gli altri, e che derivano da un habitus mentale appreso durante il percorso formativo (per riprendere il nostro esempio, l’abitudine a esprimersi in maniera corretta e curata).

Competenze-chiave: denominatore comune della cittadinanza europea

È comprensibile che l’interesse per le competenze sia sorto in ambito europeo, perché la loro certificazione permette la confrontabilità tra studenti provenienti da paesi e sistemi formativi diversi, che ovviamente hanno studiato programmi diversi, ma trovano un terreno comune di confronto proprio sulle competenze, intese come il denominatore comune della cittadinanza europea.

Proprio per questo una Raccomandazione del Parlamento Europeo del 2006 ha definito, nell’ambito del processo di Lisbona, quali siano le competenze chiave per la cittadinanza europea.

Ne diamo qui di seguito l’elenco:

1. comunicazione nella madrelingua

2. comunicazione nelle lingue straniere

3. competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia

4. competenza digitale

5. imparare a imparare

6. competenze interpersonali, interculturali e sociali e competenza civica

7. imprenditorialità

8. espressione culturale.

Si tratta ovviamente di competenze trasversali, sganciate dai diversi programmi scolastici, ma comunque espresse in termini di conoscenze, abilità e attitudini.

Lo stesso principio è recepito nel Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF), elaborato dall’Unione Europea, che si propone di creare un quadro comune ai diversi sistemi formativi europei, definito in termini di competenze, abilità e conoscenze, nell’ottica di rendere confrontabili i diversi titoli di studio nell’Unione Europea.

Allo stesso modo, le principali indagini internazionali sull’apprendimento OCSE-PISA (rivolta agli studenti quindicenni), IEA-PIRLS (rivolta agli studenti al quarto anno di scolarità) e IEA-TIMSS (rivolta agli studenti al quarto e ottavo anno di scolarità) hanno al loro centro la competenza di lettura in lingua madre (OCSE-PISA e IEA-PIRLS) e le competenze matematiche e scientifiche (OCSE-PISA e IEA-TIMSS).

 

Bibliografia utile

E. Cresson (a cura di), Insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva, Commissione europea:Libro bianco sull’istruzione e la formazione – Unione europea, Bruxelles, 1995

G. Di Francesco (a cura di), Unità capitalizzabili e crediti formativi. Metodologie e strumenti di lavoro, ISFOL, Franco Angeli, Milano 1998 (il modello tuttavia risale al 1993)

M. Ambel in «Progettare la scuola», n. 3, 2000

Forum delle Associazioni disciplinari in «Progettare la scuola», n. 4, 2000

Siniscalco, Bolletta, Mayer, Pozio, Le valutazioni internazionali e la scuola italiana, Zanichelli, Bologna, 2008